Marco Cappato, lo Stato, la Giustizia


Di Alice Porta

Il grande senso della Giustizia di Marco Cappato non si esprime “soltanto” in ciò che lui fa ma soprattutto nell’atto, immancabile, di autodenunciarsi. Potremmo dire che con questo atto il cerchio dell’opera di Marco Cappato si chiude, raggiunge la sua rotondità perfetta.

Quando entri alla facoltà di legge capisci subito che l’unica cosa che vorresti davvero capire non sarà mai davvero afferrabile: la Giustizia. Un concetto misterioso, poliedrico, dalla storia confusa e che di fatto è più un ideale a cui tendere che un oggetto concreto da afferrare. Del resto Giustizia rimanda a ciò che è giusto e ognuno, in cuor suo, ha una sua idea di ciò che lo è. Poi c’è ciò che abbiamo deciso a maggioranza che fosse giusto o sbagliato e ci abbiamo scritto delle regole: quella è la Legalità. Così abbiamo stabilito che uccidere è sbagliato ma se ti capita di farlo per legittima difesa allora può essere giusto; e così via di esempi. Un equilibrio fragile ma necessario. Marco Cappato si trova lì: proprio al centro tra la Giustizia e la Legalità.

Non è di certo il primo, sebbene gli esempi passati fossero più che altro negativi. Si dice che la prima volta che l’umanità ha fatto i conti con questo fragile equilibrio è stato durante il Processo di Norimberga. “Avevamo solo eseguito gli ordini” è una frase tanto orribile quanto vera: chi mai viene processato e condannato per aver seguito leggi del proprio Stato? Di solito si viene puniti se le si infrange, mica se le si rispetta. Ma lì fu stabilito che esistono leggi (Legalità, ndr) così sbagliate, come quella di uccidere intere etnie, da dover essere infrante perché si rimanga umani (Giustizia, ndr).
La storia ci ha quindi insegnato che si può essere ingiusti anche se si seguono le leggi. Si può essere allora giusti se le leggi si infrangono?

È quello che credo che cerchi di dimostrare Marco Cappato e non può farlo se non si autodenuncia. Potrebbe restare all’estero, potrebbe nascondersi, aspettare che lo vadano a prendere, macinare sul largo appoggio (compreso quello della sottoscritta) di cui gode. Invece no. Marco Cappato si autodenuncia: perché ha infranto una legge dello Stato, di cui ne rispetta la Legalità anche se non la condivide.

Ne nasce un intenso dialogo, un triangolo, tra Marco Cappato, lo Stato e la Giustizia. I processi a suo carico, che a noi paiono quasi un insulto all’umanità di cui lui si fa portatore, quasi illogici perché rispondono ad una richiesta consapevole di una persona malata, servono per scatenare uno tsunami di domande. Più che una sollevazione popolare, un rimpallo sui social network, forse più ancora di un referendum. Con la sua autodenuncia si dà il via ad una catena di eventi, di meccanismi dello Stato, nei quali un giudice deve decidere, una Corte Costituzionale si deve quindi pronunciare e allora un Parlamento deve rispondere ad una domanda: eutanasia sì oppure no?
Marco Cappato i suoi viaggi li fa per la persona che aiuta ma l’autodenuncia, quella, la fa per tutti noi.
Grazie.

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