Di Alice Porta
Durante la prima settimana di gennaio sono stata testimone indiretta di due fatti. Potrei raccontarli così, nudi e crudi, e l’articolo sarebbe pronto, l’indignazione servita. Invece hanno prodotto in me un senso di disagio profondo che nel tempo è maturato in riflessione.
Il primo di questi fatti è accaduto sulla pagina di un mio contatto, che chiameremo Omega. Si stupiva che nella sua bolla social una donna avesse scritto che andare in giro un po’ svestite, ubriache e in zone poco raccomandabili non solo non è emancipazione ma sei anche un po’ scema. Tantissime donne le davano ragione, con buona pace della povera Omega. Rimbalzava questa tesi “nel mondo ideale le cose vanno in un certo modo ma nel mondo reale devi stare attenta, proteggerti”. E se non lo faccio? Se non sto attenta? Le cose non mi succedono? Oppure se mi succedono me le sono meritate? Attenzione, perché il rovescio di quello che si sta dicendo è proprio questo: “devi stare attenta” come l’evoluzione moderna, politicamente corretta, piena di buon senso del “te la sei cercata”. Ho provato a dire che essere ubriachi, incoscienti o anche solo stupidi non è un reato mentre derubare, aggredire, stuprare invece lo è. Mi è stato risposto che “se sei ubriaco al volante e ammazzi qualcuno paghi” come ad instillare il dubbio che in fondo l’ubriachezza è parte del reato anche in caso di stupro, un concorso di colpa (almeno a livello morale). No. Se investi qualcuno paghi a prescindere, se sei ubriaco paghi di più (aggravante). Se stupri qualcuno paghi a prescindere, se quel qualcuno non è presente a se stesso non è che paghi di meno, non c’è attenuante, quindi non c’è un concorso di colpa. Anzi probabilmente il colpevole avrà un’aggravante perché la vittima era ubriaca o drogata, la posizione della legge quindi è chiarissima. Credo che spesso le norme ci diano tutte le risposte semplici che non vogliamo vedere, ciechi della nostra morale. Il punto è perché non guardiamo alla proverbiale luna.
Il secondo fatto mi è stato narrato da un’amica, che chiameremo Sigma. Occupandosi direttamente di un processo penale per violenza domestica, è venuta a conoscenza di due persone che hanno tentato di circuire la vittima per farle ritrattare la denuncia. Addirittura per convincerla che tornare col suo ex marito sarebbe la cosa giusta, che lui ora rischia la galera per colpa sua. Hanno cercato di far firmare a questa donna, fragile mentalmente e sottoposta a cure mediche, un foglio in cui lo perdonava, in cui manifestava amore, rammarico e gratitudine. Da poter usare per screditarla durante il processo. Queste due persone erano donne. Donne che convincono una donna fragile a perdonare un ex marito violento che l’ha mandata in ospedale, facendola sentire in colpa. Ho chiesto a Sigma: perché queste donne fanno così? “Perché lui le ricopre di regali costosi e loro vogliono una parte della futura eredità”. Un vantaggio al prezzo dell’onestà e a scapito di un’altra donna.
Adesso lo chiedo a voi: perché noi donne facciamo così? Mi ci metto in mezzo anche io perché la riflessione riguarda tutte, nessuna sta salendo in cattedra. Perché ci arrabattiamo, anche dove la distinzione vittima-colpevole è netta, ad attribuirci una colpa? Non riusciamo a capire che questo poi nuoce alle vittime stesse? Questo cuneo che puntelliamo nell’anima del dibattito forma la morale comune in cui i giudici (che sono esseri umani) crescono e si formano, ne restano influenzati. Così la giustizia sarà propensa a dire “è lui il colpevole MA…” scaricando così parte della colpa sulla vittima, a tutto vantaggiato dei carnefici.
Io mi sono cercata una risposta. Non credo che questo dipenda solo da una vocazione ancestrale al martirio, dal senso colpa e vergogna che ci portiamo dentro. In realtà noi non cerchiamo di dimostrare che le altre donne hanno fatto male, come sembrerebbe ad una prima lettura. Cerchiamo di dire al mondo che NOI PERO’ abbiamo fatto meglio. In una continua gara chi è più furba, più scaltra, migliore.
– A me non è mai successo di essere aggredita perché IO sono stata attenta;
– A me non importa di certe nefandezze perché IO ho la pelle dura e, furba, ottengo anche dei lussi;
E via così per tutte le cose. Facciamo bodyshaming non per offendere ma per dire che NOI siamo state brave a restare belle e in forma. Sfottiamo le iniziative delle giovani per dire che NOI non stiamo invecchiando, stiamo solo diventando più sagge. Non crediamo alle denunce di stupro o molestie tardive perché NOI siamo coraggiose e avremmo denunciato subito. Ce la prendiamo più facilmente con l’amante che col marito traditore perché NOI non siamo delle poco di buono che sfasciano le famiglie. Non siamo cattive o invidiose, è che siamo in una costante ed estenuante competizione tra noi. Che non finisce mai, con risultati devastanti. Nella mitologia greca Eris, la dea della discordia, si arrabbia a morte per non essere stata invitata al matrimonio di Peleo e Teti. Si sente esclusa, la sua autostima crolla e così cerca un modo per buttare giù quella delle altre. Non se la prende direttamente con la Dea Teti, che non l’ha invitata, ma lancia una mela, il famoso pomo della discordia, sul tavolo degli invitati con sopra scritto “alla più bella”. E questo scatena una lite tra altrettante tre dee, in deficit perenne di autostima, che condurrà, nientemeno, che alla Guerra di Troia. E così una competizione tra due donne, Eris e Teti, si espande, porta a migliaia di morti e al rogo di un’intera città.
Forse è umano tagliare le gambe agli altri per cercare di sembrare più alti ma in molte di noi donne questo comportamento è esasperato, impedisce di fare squadra, di empatizzare, di assolvere e alla fine persino di perdonare noi stesse. Ci si ritorce contro. Si dice no? Che le donne sono le peggiori nemiche di loro stesse, si parla spesso del sessismo (malcelato) che alberga proprio nelle donne. E’ perché nasciamo con la consapevolezza di essere già svantaggiate in una società che fatica ad affrancarsi dal maschilismo. Il problema sta sempre là: nel patriarcato. Se in molti Paesi si discute se le quote rosa siano da inserire o meno; è innegabile che nel mondo, in senso lato, esistano già: i posti per le donne sono contati, dalla bellezza alla competenza. L’unico modo per ottenere qualcosa è spingere le altre giù dalle sedie. Si lotta con le unghie e con i denti ma non per aver più posti a sedere, piuttosto perché non ci si sieda qualcun altra. Dobbiamo cambiare prospettiva ed iniziare a fare squadra.
Da bambina mio padre mi disse “sei una donna: dovrai fare il doppio della fatica per ottenere la metà del riconoscimento” ma non mi aveva detto che quelle disposte ad appoggiarmi di meno sarebbero state proprio le altre donne.
Forse facciamo così perché sentiamo questa continua pressione della società che ci vuole belle, giovani, in forma, in carriere, madri perfette, che ci impone di stare attente ai mille pericoli che incombono su di noi (stalking, Revenge porn, stupro, perdita del lavoro in gravidanza…) E volenti o meno ne siamo tutte un po’ succubi. Tutte, chi più e chi meno, consciamente o inconsciamente ci sforziamo per non deludere certe aspettative e non perdoniamo quelle di noi che per un attimo se ne dimenticano o si lasciano andare perché ci ricordano quello che ci aspetta se lo facciamo anche noi.
È la pura verità. Ho letto questo articolo con molta attenzione, ritrovandosi in ogni parola. Bravissima l’autrice, che analizza la realtà delle cose con intelligenza e distacco emotivo. Condivido anche le virgole.
So bene come rovina la vita il pensare ” se mi fossi comportata in modo diverso…”
Come questo ci impedisca di autoaccettarci come vittime.
Però so bene anche che, di fatto, se mi fossi comportata in modo diverso, ci sarebbero state meno probabilità che accadesse.
E a mia figlia cerco di dare consigli avveduti, spiegandole l’inaccettabilità della situazione, perché possa continuare a cercare di cambiare le cose.
Perché non voglio che succeda a lei. E che, anche una probabilità in meno, è già tantissimo.
È anche questo voler bene alle donne.
Voler che non succeda a loro.
Che non provino quel dolore.
A qualsiasi prezzo.
Anche a quello di accettare compromessi e ingiustizie.
E vero, ma che tristezza…. nel mio lavoro e nella vita, raramente, mi sono capitate queste cose. Forse perché ho letto la Beauvoir, forse perché sono stata in un gruppo femminista….non saprei. Mi piacciono le donne da sempre. Non sono lesbica. I miei esempi, a casa, sono state mamma e nonna. Donne di pasta antica. Donne energiche.