Palermo, gli orribili sette 1


di Alice Porta

Vacillo, per la prima volta da che ho memoria.




Sono seduta nel mio ufficio, in casa mia. Davanti a me le pareti in mattoncino verde che dovrebbero rilassare, dietro di me la libreria, coi miei libri, spolverata di fresco. In mezzo ad essi i manuali di giurisprudenza mi osservano, come giudici impietosi. Li sento che mi stanno mettendo alla prova; percepiscono che il fuoco della giustizia, che mi ha animato in infinite ore nelle aule prima e tra le decine di editoriali poi, da rosso cremisi sta diventano giallo acido, colore della bile. Il giustizialismo: un qualcosa che mai avrei voluto sentire tra le membra.

Questa è rabbia, proprio in me che non mi arrabbio mai, che sono nota per essere oggettiva e posata. Tutte quelle ore che ho passato sui codici e con eccellenti docenti, a maturare deferenza ma anche spirito critico rispetto all’albero della Legge, sono sferzate da un vento nemico.

Il fatto è che è tutto così sgradevole. La violenza e i particolari della stessa sbattuti su tutte le pagine, accerchiano e non puoi sfuggire. Ricordi diretti e indiretti di brutte situazioni accadute. Lo starnazzare penoso dei se l’è cercata. Genitori criminali di figli criminali. L’immedesimazione involontaria nel corpo della ragazza, nei suoi pensieri. La difesa indegna già accampata da squallidi avvocati. Quelle facce quasi implumi ma già di orchi che mai davvero diventeranno Uomini. Meno che mai Esseri Umani. Volti di mostri spammati ovunque.

Io credo molto nella Giustizia, ci ho sempre creduto. Nella sua espressione di Etica condivisa che nutre e sorregge una collettività. Credo nella Legalità come insieme di regole che ci siamo dati, di doveri ma anche di diritti che valgono per tutti, anche per i cattivi. Eppure cazzo se è difficile.

Credo nella funzione rieducativa della pena così come è stato stabilito dalla Costituzione. E mi torna in mente la frase di un noto giurista, che è stato anche mio docente, Gustavo Zagrebelsky: “la Costituzione è ciò che ci siamo dati da sobri a valere per i momenti in cui saremo ubriachi.” E oggi noi siamo ubriachi di vendetta e di collera. La Costituzione sta lì: imponendo imparzialità e diritti, chiedendo ai giudici di applicare giustizia e legalità.

Come cittadina però sono dubbiosa.  Impossibile non notare un pericoloso cambio di rotta intorno alle violenze che sta avvenendo nei tribunali. Troppa ambiguità, troppa mollezza. E fuori l’ululare rabbioso di troppi maschi che gridano a donne bugiarde, ad un femminismo che diventa dittatura del femminino.

Ma quando mai.

I numeri delle violenze contro le donne sono spaventose; la giustizia è lenta; i giudici, esseri umani e non alieni, si formano in una società maschilista e misogina, anche nolenti ne vengono traviati. E assistiamo a sentenze irragionevoli non perché la vittima sia donna e debba sempre avere ragione, no. Ma perché le motivazioni annaspano intorno ad una concezione del sesso e dell’abuso che non regge la prova del tempo e del cambiamento socio-culturale tra i generi.

Credo che guardando alla Costituzione, qualcosa nelle leggi vada cambiato. Va data ai giudici una legge sulla violenza sessuale e sul consenso riformata. Una riforma che è anche culturale, non solo legale. L’origine di questa vicenda abietta sta nella percezione della donna, del sesso, del concetto del maschio. Va tutto ripensato perché non accada più. C’è molto da fare su tanti fronti, concordo: non si fermerà tutto ad un solo processo su un singolo fatto risonante.

Ma oggi io, come cittadina e come donna, chiedo certezza della pena. Una posizione netta, severa e proporzionata, rispetto a questi fatti. Una sentenza equa e motivata che però scriva nero su bianco che questo comportamento non può più essere tollerato, che questi crimini non sono accettati in uno Stato degno di questo nome.

Il poeta latino Orazio diceva “la pena accompagna e calca la colpa”. Calca da calcis, calcagno, tallone. Dove si avvia il passo ma anche dove poggia l’intera struttura. La pena accompagna la colpa come diretta conseguenza ma è anche ciò che definisce la stessa, su cui essa di posa. La pena mette in luce, calca il tratto come un pennarello indelebile, dove sta la colpa perché mai si abbiano dubbi e atroci fatti simili non accadano mai più.

 

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