Il cugino americano 1


di Ettore Ferrini 

Succede che Alice e io riceviamo la visita di un lontano (in tutti i sensi) parente americano con famiglia al seguito. Nella lunga e meticolosa ricostruzione del suo albero genealogico, ha infatti scoperto che nell’800 la sua famiglia s’intreccia con quella della mia compagna e da lì il suo viaggio, alla ricerca delle proprie radici. Te pensa quanti chilometri ha fatto per venire a trovare dei parenti e quanti invece ne ho fatti io per levarmeli di culo quando mi sono trasferito a Livorno.




Comunque, complice il loro stentato italiano e il mio pessimo inglese, si sono verificati dei gustosi siparietti; già per fargli capire cosa scrivessi sul Vernacoliere non è stato facile ma alla domanda “perché voi toscani usate così tante parolacce?” non ho resistito e gli ho risposto: “we use bad word to free us from anger” (le usiamo per liberarci dalla rabbia, dalle incazzature), “you do the same thing with the bombs” (un po’ quello che fate voi con le bombe). Alice, preoccupata per l’incidente diplomatico, intanto stava cercando un bunker su Google. E mica è finita, quando s’è messo a criticare la giustizia italiana per il caso di Amanda Knox, volevo dirgli che almeno è viva, non avendo noi la pena di morte, ma non sapendo se fosse prevista nel suo Stato (il Massachusetts) mi è uscito un “do you kill people?”, e lì la mia compagna ha messo nel carrello di Amazon anche una plastica facciale. Lui mi guarda e mi fa: “ah, death penalty!” , sì, era esattamente quello il termine che cercavo ma da noi la parola “penalty” non ha molto a che fare
coi processi, se non con quello di Biscardi. Comunque no, là non ce l’hanno, però – prosegue – va detto che dove la pena di morte è prevista, viene applicata solo per reati molto gravi, tipo l’omicidio oppure la pedofilia. Ma pensa, dico io, son talmente umani che non la danno per divieto di sosta o se masterizzi un DVD.
Fra una risata e il rischio di finire in un programma protezione testimoni la conversazione si attesta su temi meno impegnativi e il cugino yankee mi fa notare con aria divertita che qui a Livorno, sotto alle palme di Viale Italia, “all people have tattos and go to gyms” (son tutti tatuati e palestrati), “like in San Francisco”, e io gli rispondo che in effetti La California è una frazione di Bibbona. Oh, comunque dei livornesi ci ha capito più lui in mezz’ora che un pisano in tutta la vita, anzi, a un certo punto mi fa: voi somigliate molto a noi di Boston, basta andare indietro di qualche anno per scoprire che nessuno è nato veramente qui, eppure vi sentite i migliori di tutti. Boia se ci ha preso! O cosa gli dici? E sicché siamo andati a fare un aperitivo, io una birra, lui del vino, la figliola a un certo punto fa: dopo lo spritz posso prendere un cappuccino? E io: no, guarda, mi dispiace ma qui in Italia dopo le dieci e mezzo il cappuccino diventa illegale. È proprio reato. È una norma che fra l’altro stiamo cercando di estendere a tutta l’Unione Europea, in particolar modo la Germania. Ma anche ‘sta fissa che ci avete di mangia’ gli spaghetti con le polpette e dire che sono una specialità italiana… bada, ti sfido: se trovi in Italia un solo ristorante che le fa, te dimmelo che chiamo personalmente Alessandro Borghese e lo faccio chiude’.
Ad ogni modo, alla fine, pare che li abbia fatti ridere e mi hanno pure invitato ad andare a trovarli, cosa che difficilmente farò perché ho una paura fottuta degli aerei, ma lì per lì non mi pareva il caso di aprire il capitolo Ustica. Però, sono sincero, la curiosità di andare in America ce l’ho, un po’ come ce l’hanno tutti, e una volta lì andrei subito ad assaggiare le specialità locali, tipo il Five & Five, che praticamente è pane francese con dentro la torta di ceci. Sì, però col Ketchup.
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