I buoni propositi hanno rotto il cazzo


Di Alice Porta

  • – Perdere dieci chili
  • – Iscriversi in palestra
  • – Dire al mio responsabile che le fotocopie può farsele da solo
  • – Mamma, ho sempre finto: i carciofi mi fanno schifo
  • – Risolvermi ¾ di fisime sentimentali
  • – Imparare una lingua straniera
  • – Viaggiare
  • – Leggere di più

 

Eccola là, la solita vecchia lista di buoni propositi. Per carità, è utile mettere dei punti fermi e fare un recap di quando in quando, però diciamolo: la lista dei buoni propositi è anche la lista di ciò che non faremo mai. Ecco perché hanno rotto il cazzo. Mentre la scrivi, col cuore gonfio di speranza, tu ci credi sul serio ma allo stesso tempo una vocina dentro di te ti dice “seh vabbè, ciao core: questo non lo farai mai”. In buona parte perché se tu quelle cose avessi voluto o potuto farle le avresti già fatte. E invece ti mancano soldi, tempo, volontà…talvolta non sono nemmeno cose che vuoi per davvero. Per esempio: vuoi davvero perdere dieci chili? Oppure tutto sommato ti piaci così, adori mangiare, non sei in pericolo di vita e ‘sticazzi quindi di entrare nella tanto socialmente stimata taglia 42?

 

 

Talvolta i buoni propositi li metti giù mentendoti da solo: scrivi una cosa ma in realtà vorresti dirne un’altra. Per esempio vuoi davvero leggere di più o dire al tuo superiore che non ci vuole una scienza a far funzionare la fotocopiatrice? La realtà è che vorresti vivere il rapporto col tuo lavoro in modo più sereno, allentando un po’, avendo così più tempo per te stesso. Sbattendone anche il cazzo se Tizio o Caio non finiscono il loro lavoro in tempo e mica lo devi fare tu, che l’azienda non è mica tua. E va bene anche se alle 18 ti cade la penna e ti fiondi a casa a farti i cazzi tuoi. Cosa impensabile in questa società della prestazione di livello che diventa prostrazione vergognosa.

Il vero inganno dei buoni propositi però è in ciò che sono: propositi, cioè obiettivi. Una cosa che di default mette ansia, ha un alto potenziale di delusione e aziona il tic tac esplosivo della sfiga. Lo sapete qual è il contrario di “proposito”? Casualmente, involontariamente, inconsapevolmente. Sapete quante cose sono state scoperte per caso, cioè non erano frutto di nessun obiettivo o (buono) proposito?

  • – la penicillina
  • – la gravità
  • – il ruolo del pancreas nel diabete (e l’insulina)
  • – il primo vaccino
  • – i raggi X
  • – il viagra
  • – l’anestesia

Ma non solo, anche:

  • – la fotografia
  • – la coca cola e la patatine in sacchetto
  • – il microonde
  • – il nylon dei collant
  • – il walkman

E potrei continuare fino a numeri a tre cifre. Quante cose scoperte per caso che a loro volta ne hanno portate altre che ci hanno cambiato la vita, che hanno cambiato la storia, senza bisogno che fossero frutto di una corsa ad ostacoli con un traguardo da tagliare. Magari prima degli altri, oltretutto.

 

D’accordo: dove davvero serve allora mettiamoli i punti fermi, accettando però la possibilità di un fallimento che non toglie valore a chi siamo e a cosa abbiamo fatto fino qui. Soprattutto non restiamo ciechi su ciò che invece ci sta accadendo intorno, siamo consapevoli di ogni occasione che il caso ci metterà davanti. Tipo con le attenne dritte a captare ciò che succede e ciò che occorre, qui e ora. E così incappare casualmente nel vaffanculo giusto alla persona che si rivela sbagliata (per noi); inciampare inconsapevolmente nella storia d’amore della nostra vita; scoprire per caso di avere tempo per noi stessi e i nostri cari; involontariamente trovarsi dall’altra parte del mondo per un viaggio o nuovo lavoro che non si era programmato affatto.

 

 

 

Secondo Carl Jung in realtà il caso non esiste, non esistono le coincidenze. Lui parla di “sincronicità”. Ciò che avviene per caso è in realtà il risultato dell’intima connessione tra l’uomo e l’ambiente. Ci capitano delle cose perché in quel momento “ci accorgiamo di ciò che succede”, ci facciamo attenzione, l’inconscio diventa conscio per qualche secondo. Il bello della sincronicità è che non riguarda solo noi ma tutti quanti: una sorta di rete globale che ci accumuna con chi è vicino a noi, conosciuto o straniero che sia. Un qualcosa di importante che accade a noi sblocca una serie di eventi che impattano sugli altri e che a loro volta creano o risolvono problemi per qualcun altro ancora e cosi via. Tipo un magazzino in cui si trova stipata tutta la realtà che viviamo, che non è mai oggettiva ma sempre filtrata dagli occhi di ognuno di noi. E così si accumula, si mescola, ogni vissuto interferisce con quegli degli altri, si macchia ma in senso buono come il caffè col latte o il gin col tonic. E le cose capitano. Il punto sta nel saperle cogliere. Il bello di questo ragionamento è che restare vigili nel caso, nel sincrono, riguarda la connessione tra il noi e il tutti; invece che il singolo foglietto su cui scriviamo quattro menate che riguardano solo il nostro piccolo orto. Il caso ci sincronizza con gli altri. In questo senso ci rende meno egoisti: un qualcosa di cui abbiamo davvero, davvero, bisogno.

 

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