L’Italia è bella ma non so perché ci vivo


di Ettore Ferrini

Stando ai dati l’ISTAT in Italia una persona su cinque nell’ultimo anno non ha aperto un libro, non è andata a teatro, non ha visitato un museo, una mostra d’arte, un sito archeologico e non è neanche andata al cinema. Insomma, ha scansato qualsiasi attività culturale come si fa con le merde dei cani sui marciapiedi. Guardate che non è facile eh, considerando che la maggior parte di questa gente è pure disoccupata e ha un monte di tempo.




Cosa fanno tutto il giorno? Chattano col cellulare. Sì ma di che ragionano se non hanno mai letto né visto nulla? Mi immagino una conversazione tipo: “Ciao, 6 bellixxima” “Grz” “Cosa fai di bello?” “Sn sul letto e chatto col telefonino” “E cosa faresti se fossi nel letto con te?” “Chatterei con qualcun altro” “Dai, intendevo se non avessi il telefonino!” “Mi alzerei e andrei a prenderlo”. Ecco, questi qui li chiamano analfabeti di ritorno ma secondo me avevano già bell’e perso anche all’andata. Leggendo i dati nel dettaglio viene fuori che i concerti di musica classica, per esempio, l’anno scorso sono stati disertati dal 90% degli italiani, se incrociate questo numero col fatto che la sindrome dell’intestino irritabile colpisce due persone su dieci, si può serenamente affermare che se cercate un appassionato di Vivaldi è più facile incrociare uno che s’è caàto addosso. Non lo so, magari la gente ha paura di doversi impegnare, eppure uno può andare a vedere il Macbeth di Shakespeare ma anche lo spettacolo di Martufello, è comunque teatro, solo che nel primo caso si ride parecchio di più. Niente. Non c’è niente che riesca a smuovere l’interesse di queste persone a parte una palla che ruzzola su un campo, che la mi’ gatta ha smesso di giocarci a sette/otto mesi, o al limite le corse delle macchine, e infatti se gli dici che un film è “doppiato” pensano che sia arrivato ultimo. C’è poco da stupirsi se poi al potere ci ritroviamo uno che non sa coniugare i congiuntivi e un altro che fa le foto a tutto quello che mangia come nei menù dei ristoranti giapponesi: perché questo è il deserto culturale dal quale nascono e nel quale si formano i nostri politici. Quello in cui, attraverso Facebook o Twitter, tutti hanno un palcoscenico anche se non hanno assolutamente niente da dire e allora pubblicano cose tipo: “nuovo taglio di capelli” oppure “oggi rosticciana” corredando queste profonde riflessioni con quelle che chiamano “emoticon”, che poi sarebbero delle faccine che ridono, che piangono, che s’incazzano. Capito? Gli fa fatica anche scrivere come stanno. Eppure abbiamo millenni di letteratura e di corrispondenze: storie d’amore, d’amicizia, lettere di figli e di genitori, senza le faccine disegnate, evidentemente si riusciva a comunicare lo stesso. Ora invece vedi intere conversazioni basate su cuoricini, bacini, occhiolini, gente che in una frase di tre parole ce ne infila una cassettata: quella triste, quella sorridente, quella arrabbiata, quella timida, quella stupita, quella che piange… e non è mica regolare cambiare umore dodici volte in tre secondi. Sei bipolare. Ma proprio tipo una Duracell. Oppure, semplicemente, a queste persone mancano le parole, perché le parole si apprendono leggendo i libri o ascoltando chi le recita, e ampliando la propria conoscenza diventa più difficile essere presi per il culo, come avviene per esempio con le cosìddette “fake news”, secondo le quali gli immigrati sono tutti dei palestrati che vivono negli hotel a cinque stelle, con l’iPhone di ultima generazione e prendono pure 35€ al giorno ma al contempo sono anche dei pezzenti che si lavano nelle fontane pubbliche e sono qui per rubarci il lavoro. Non è difficile capire che c’è qualcosa che non torna: o fanno la vita da nababbi oppure pisciano ne’ giardinetti e vanno a lavorare per du’ spicci. Questo se la gente fosse abituata a ragionare, se avesse sviluppato un pensiero critico che vada oltre il luogo comune, il “Venezia è bella ma non ci vivrei”. Ecco, mettiamola così: l’Italia è bella ma non so perché ci vivo.

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