Mio fratello si chiama Edoardo, in onore di Eduardo De Filippo (colpa di una mamma attrice), è nato il 13 dicembre del 1992. Io lo chiamo Dedi. Dedi ha la Sindrome di Down.
“Cosa si prova ad avere un fratello disabile?”. Mi chiese un’amica. Non seppi cosa risponderle, presi tempo, sebbene fosse una domanda posta così, tanto per dire.
Non sono stronza, io voglio bene a mio fratello. Il punto è che la vita con lui è stata così diversa e, allo stesso tempo, così normale che io non so definire la mia identità di “sorella” (siblings, ndr). Avessi un modo per fare un paragone allora potrei ma io ho solo Dedi: so che il nostro rapporto è diverso ma è anche l’unico che conosco, la vostra “anormalità” è la mia normalità.
Me lo ricordo quel 13 dicembre.
Mamma è davanti allo specchio del bagno, la luce del mattino la illumina, elegante e bellissima, mentre si trucca gli occhi. Ogni tanto si ferma, nella sua pancia succede qualcosa, ma non mi devo preoccupare, mi spiega, ci vorranno un po’ di ore. Mi spiega. Lei mi spiega sempre le cose. Parla e parla. E’ contenta. Mi bacia. Fai la brava coi nonni, torno col fratellino. Sembra volare leggera come una farfalla. E’ tutto illuminato. Buio. Le persone sono tristi. Quanto tempo è passato? Siamo in cucina dai nonni. Loro sono al tavolo, io sono sulla poltrona che fu della cara bisnonna. Sono tutti strani, tristi, scuri. Papà è in piedi. Il mio gigante, supereroe di papà, pare mollica di pane bagnata in quel momento. E’ successo qualcosa. Qualcosa che non doveva essere, che non sapevamo, qualcosa ci ha sorpresi ma non come una torta di compleanno. Mi accuccio. Ho paura. Sei tu. E’ successo qualcosa a te. Ma …Sei vivo? Non ho coraggio di chiedere. Tendo le orecchie. Ditemi che sei vivo! Si lo sei. Vivo e stai bene. Meno male! Allora qual è il problema? Stai bene! Portatelo a casa. Presto, dicono. Però hai qualcosa, qualcosa che non capisco. Paroloni. Paroloni inutili. Decido di ignorarli tutti, sono sempre esagerati. Mamma invece no, è sempre tranquilla. Lei ci spiegherà, lei spiega sempre tutto. Guardo fuori al cielo grigio e ti immagino. Canteremo, balleremo, giocheremo. Ti insegnerò tante cose. Qualsiasi cosa tu abbia non mi pare così grave. Mi sento felice. Passano i giorni. Quanti? Tanti, mi sembra. Siamo nella stessa cucina, intorno al tavolo, come tutte le domeniche. E’ Natale. Ci sei anche tu, coperto con una tutona che ti infagotta tutto, tranne gli occhi a mandorline. Fuori c’è la neve, è tutto bianco e leggero. Sembrano sereni. Forse un po’ tesi ma non tristi. Ti tengo in braccio e ogni cosa è illuminata. Il dopo è un insieme di ricordi di tutti i tipi: io e te che gattoniamo sotto i tavoli di casa, io che ti canto le canzoni, te che non ti si trova, logopedisti, te che ti finisce un vaso in testa, io che urlo perché mi dai noia e però ti voglio bene, tu che cerchi su youtube, io che ti canto le canzoni, neuropsichiatri, te che non ti si trova, psicomotricisti, tu che urli se non puoi fare le cose che vuoi nell’ordine preciso che hai scelto, tu e io annoiati alla galleria d’arte moderna, te che non ti si trova …
La diversità, con la sua ricchezza e la sua difficoltà, è qualcosa che si apprende. Per me è stata una lezione immediata e potente. Non sui libri o tra la gente, la diversità per me si è fatta VITA. E mi ha costretto ad improvvisare. Da bambino impari subito che ciò che per gli altri è qualcosa di lontano, da vivere col contagocce, per te invece è prepotentemente normale, appartiene alla tua vita di ogni giorno. Ti ci devi relazionare e ti rendi conto che non solo tu stai improvvisando ma anche i tuoi genitori. E se i genitori sono Dio agli occhi di un figlio allora i Siblings imparano presto la fallibilità degli dei, la dolce grinta con cui difendono la diversità, con cui cercano di creare qualcosa di giusto e di speciale, lottando con le unghie e con i denti. Ci si sente orgogliosi dei propri genitori e di quel fratellino strano che impara ogni giorno; ma ci si sente anche persi: si cerca disperatamente di capire il proprio posto, di crescere il prima possibile perché anche il nostro aiuto è prezioso; ci vengono rubati pezzi di infanzia, ci si sente in colpa per ogni fallimento perché tu sei “normale” e non devi essere un peso o una delusione. Si rincorre la perfezione e ci si fa due volte male, il doppio degli errori. E poi l’adolescenza, bastarda, arriva traumatica e carica di emozioni, non tutte sono positive: si prova rabbia, indifferenza, amore puro. Si è egoisti ma il senso di colpa permane. Si perdono tante occasioni, altre si colgono e si portano con sé, preziose e delicate. E poi accade di smarrirsi del tutto e di doversi allontanare per ritrovarsi; e scoprire che in un angolo della mente, dietro una porticina con scritto “casa”, c’è il fratellino speciale, come un custode paziente. Pronto ad insegnarti, nessuno meglio di lui, che essere fallibili, fragili, diversi, è un dono; occorre che tu ti accetti per ciò che sei.Due mondi diversi, due fratelli che sono figli unici. Un legame fortissimo.
Questo è essere Siblings.
La Trisomia 21, detta anche Sindrome di Down, rappresenta un’alterazione del 21esimo cromosoma che compone il nostro cariotipo, cioè la struttura fondamentale del DNA umano. Abbiamo tutti lo stesso cariotipo, lo stesso DNA. Ma proprio tutti eh! Bianchi, gialli, rossi, islamici, cristiani, rom … tutti. Siamo tutti umani allo stesso modo, le nostre scelte possono essere diverse, ma l’umanità no, quella è uguale. Non c’è bisogno di aver paura, non c’è differenza biologica tra di noi. E Dedi ? Lui è tecnicamente un’altra razza? Ha un altro DNA. Quanti Dedi neri,bianchi,rom, gialli ci sono come lui? Eppure di lui, che è così diverso da noi, non abbiamo paura. Ci inventiamo un sacco di razze cattive che non esistono e quando incontriamo qualcuno così profondamente diverso ma così buono, non ce ne accorgiamo neanche. Non impariamo la lezione.
Secondo la filosofia buddista, le persone Down sono stati uomini di immensa intelligenza e cultura ma permeati di grande cinismo e disumanità e così, in questa vita, sono “condannati” ad essere complessa fragilità e puro amore.
Per me, invece, Dedi è un Fratellino Alieno. E io sono la sua banale Sorellina Normale.
“Tuo fratellino è delicato sai?” disse Mamma.
“E come mai?”
“Vedi, ognuno di noi è quello che è, i capelli, la bocca, gli occhi, grazie a delle cosine invisibili che abbiamo dentro: si chiamano cromosomi. Ne abbiamo tutti 46.”
“Anche tu e papà?”
“Tutti. Tranne il tuo fratellino. Lui ne ha 47”
“E questo cosa vuol dire?”
“Vuol dire che è delicato. Che se tu hai imparato a camminare ad un anno, lui lo farà a due anni e magari lo farà diversamente”
Lo dicevo io che non era poi ‘sta gran tragedia!
In realtà non è tutto bello e tenero. No. Sappiatelo. Diffidate dei post glitterati su social che mostrano i bimbi down tenerelli e con il moccino al naso. Diffidate anche di chi vi parla, però, di vegetali condannati all’emarginazione. Ogni caso è a sé e richiede una forza incredibile che può partire soltanto da voi, come genitori e come fratelli. La disabilità mentale, nelle sue molteplici forme, è purtroppo ancora un tabù: a partire dall’autonomia (cucinarsi una pasta) fino ai lati più intimi (l’affettività, la sessualità e persino l’omosessualità di una persona disabile mentale) della vita di queste Persone Fuori dall’Ordinario. Tutto ciò che per noi è scontato, per queste Persone è una sfida, prima di tutto con sé stessi e poi contro tutti gli altri, che li vedono come robot, bambolotti da accudire. Sono persone. Fragili, ma persone.
Soprattutto il mio è un invito, ancora una volta, a non dimenticarvi dei “Siblings”, per loro molto poco ancora viene fatto.Questi ragazzi imparano presto alcune delle difficili lezioni della vita: la diversità, la discriminazione, il disincanto; diventano maturi e responsabili presto. Molto spesso devono cercare da soli un modo di comunicare, di giocare, di avere un rapporto con questo loro Fratellino Alieno. E’ tanto per un bambino, da affrontare da solo. Non dimenticatevi mai dei Fratelli Normali, perché sull’astronave ci sono anche loro.
Ancora oggi io non la so questa faccenda di Dedi e della magia che porta con sé. Perché ogni volta che siedo a tavola con mio fratello io ancora non so se è davvero un’altra razza con il suo DNA diverso, se è un alieno per via del suo strano modo di parlare, oppure se la sua genuina bontà sia davvero un disabilità o, forse, una versione progredita di umanità.
Alla fine, alla mia amica, le ho poi risposto.
“Siamo come due radio, mio fratello ed io”.
Due radio su frequenze diverse, che devono sintonizzarsi su una banda comune per capirsi, per comunicare; ed è un lavoro costante, che viene automatico ma non per questo non è faticoso.Alle volte capita che questo non riesca o che si perda la pazienza. E ho capito che però questo non vale solo per noi, vale anche per lui. Ho provato, per giorni interi, a chiedermi “cosa vuol dire essere mio fratello? Come vede mio fratello il mondo? Come vede mio fratello noi?”, mi sono immedesimata e ho capito: per lui, il suo modo di comunicare, è tanto giusto e normale quanto noi pensiamo lo sia il nostro; e come noi ci stupiamo e ci spazientiamo, succede anche a lui. Credo che spesso mio fratello abbia pensato “mio dio mia sorella quanto è tonta!” Però lui non si intristisce, non si sente meno sicuro di sé stesso, non perde autostima. La vive con leggerezza. Pensa semplicemente che quella volta le radio non sono riuscite a sintonizzarsi e allora sarà per la prossima volta. La leggerezza, ecco che cosa bisognerebbe davvero imparare da lui, ecco cosa lui ci regala ogni giorno: la leggerezza, qualcosa che in questo pesante mondo è così rara. La comunicazione non è univoca, lui con noi parla, cerca – insieme a noi – una frequenza comune. Credo che in fondo, in qualche modo, come io ogni tanto “fingo” di essere lui, lui cerchi di capire cosa vuol dire essere me. E mi sento subito meglio.
Grazie Mamma, per avermi fatto un Fratellino Alieno.
di Alice Porta
Stupendo <3
Brava Alice, complimenti vivissimi
Bellissima, complimenti.
Grazie per la tua testimonianza che da sorella così attenta aiuta a scorgere altre sfumature di questi cari ns alieni familiari .Da madre penso ,ogni tanto, che “forse una sorella per lui sarebbe stato meglio che non i suoi 3 fratelli ma ,a ognuno la sua storia e poi anche senza il tocco sibling femminile ,so che poi sono loro la sua vera fortuna
Gentile Alice, ho recentemente letto questo articolo e vorrei farle i miei piu`sinceri complimenti. Grazie perche`cio` che ha scritto mi ha emozionata. A volte e` veramente difficile spiegare alle persone quanto e` complicata la vita quando ci sono situazioni di disabilita` in famiglia, quando tu sei la sorella “normodotata” che cerca di non sbagliare per facilitare le cose.
Mio fratello, Tommy, ha la retinite pigmentosa, una malattia genetica dell’occhio che colpisce l’epitelio pigmentato e la retina. Un domani potrebbe diventare completamente cieco, ma questo e` solo uno dei problemi. Ogni giorno e` un’avventura e si cerca di capire quale e` la “ricetta” giusta per far funzionare le cose. Nonostante tutto mio fratello forse e` stato un allenaménto a vivere con una certa sensibilita`, gentilezza, e pazienza. La sua forza di volonta e` incredibile e diventa a volte un insegnamento per me
Grazie per questo articolo
commente storia …ed e tutto verissimo visto che vi cponosco pure di persona . daniela cassone unicredit
una storia bellissima e commovente…ci aiuta a riflettere! Grazie
Grazie Alice, un pezzo veramente bello.