Perché la Lega ha torto sulla prostituzione


di Alice Porta

La legalizzazione della prostituzione è questione vecchia e non solo nei discorsi della Lega.

In realtà la prostituzione è già legale, nel senso che è tollerata sebbene non normata  nella sua dimensione attiva: se tu vuoi metterti in strada oppure online con un cartello “cedo parti del mio corpo a scopo ludico-sessuale a 100euro/h” lo puoi fare, non vieni arrestato. È illegale affittarti o capitalizzare l’affitto che fai di te stesso, entrambi questi atteggiamenti sono considerati “sfruttamento”, parola non scelta a caso e che rappresenta bene il nodo teorico e pratico della questione.

Ad oggi il corpo umano, quale espressione di vita e di dignità personale (per tutte le connessioni biologiche e psichiche che ha con la tua identità e che poi impattano sulla collettività), è considerato in buona parte un bene indisponibile anche da chi lo possiede : ad esempio non si possono vendere gli organi, il sangue, persino i capelli tagliati.

Perché allora la prostituzione sì? Innanzitutto perché si tratta di prestazione e non di parti del corpo in senso stretto, sebbene siano “strumenti del mestiere”. Inoltre, a voler giocare con le parole, si tratterebbe di un affitto e non di una vendita: cedi il possesso momentaneo di parti di te stesso ma la proprietà resta tua (altrimenti sarebbe un altro reato, quello di schiavitù proibito dagli art 600 e seguenti del codice penale); ma soprattutto perché al 90%  si tratta di costrizione o di forme di disperazione, quindi arrestare chi si prostituisce sarebbe una situazione grottesca.

A livello tecnico si inizia con il proibire lo sfruttamento. Occorre essere d’accordo, per prima cosa, sul fatto che fare impresa sul corpo degli altri non dovrebbe mai essere cosa legale, anche se questi firmano un contratto e paiono consapevoli: per una questione di dignità e di sproporzione dei compiti è meglio che la prostituzione inizi e finisca all’interno della persona che si prostituisce, configurando così forse uno dei pochissimi ambiti di commercio da pensarsi come esclusivamente  liberista. Da qui si passa ad un’altra questione pratica: evitare che la prostituzione volontaria non sia in realtà espressione di povertà, di ignoranza o di mancanza di altre alternative lavorative perché anche in questo caso non sarebbe una scelta veramente libera.

Restano  così coloro che  si prostituiscono davvero per scelta, ossia quei soggetti che scelgono un modo per ricavare soldi da una cosa che li stuzzica e che li diverte, un po’ come gli attori porno nel loro ambito. Con una distinzione però.  Gli attori porno hanno le stesse intenzioni e le esprimono tra di loro, tu che guardi non tocchi e non intervieni in modo attivo, l’unico corpo che usi è il tuo; mentre  se ti rivolgi alla prostituzione di fatto  “usi” il corpo di un’altra persona e ne disponi, sebbene per un breve periodo, come fosse  un oggetto o un immobile.

Alla luce di questa realtà dei fatti, possiamo fermarci eliminato lo sfruttamento oppure proseguire entrando in un ambito spinoso:  quanto è etico possedere una persona come fosse un oggetto o un appartamento? Spostare la questione sulla libertà e la volontà di chi si vende  è un modo per eludere il problema che invece ha a che vedere con la dignità umana e con l’integrità psicofisica della persona, che solo in parte riguardano il  soggetto stesso. Il resto risiede in come gli altri si rapportano con esso e, per estensione, con l’intera società che già non è certo progredita in fatto di umanità, antisessismo e omofobia visto che il fenomeno riguarda per la maggior parte il mondo femminile e le categorie già discriminate.

Se da un lato normare una situazione di fatto è necessario dall’altro lato non è possibile farlo senza una corretta educazione al rapporto con gli altri,  evitando di superare un limite pericoloso, quello in cui uno Stato pur nell’atto corretto di legalizzare finisce per avallare una visione oggettivante dei suoi cittadini più fragili.

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